domenica 9 marzo 2014

La grande bellezza - recensione


E' un chiacchiericcio continuo, insinuante e quasi delirante. Un persistente parlare inutile e sofferente ove sentimenti e idee, sogni e cambiamenti, morte e religione vengono appiattite in un gossip noioso e terribile. Lo sfondo del film di Sorrentino è Roma, ma fosse stato New York, Londra, Parigi, Amsterdam, Milano, Tokyo, Shanghai e così via, la trama sarebbe corsa via lo stesso. La stessa Internet avrebbe potuto essere un background adeguato. Tutti i posti borghesi, ove nasce la cultura, ci si innalza fino a diventare immensi e
poi si crolla nel giro di un giorno nell'anonimato, sarebbero stati scenari adeguati per "La grande bellezza". Ciononostante la capitale italiana, al contrario di tutti gli altri posti, ha un qualcosa in più da offrire che a tutte le altri grandi città (Internet incluso)  manca. Le città prima descritte possono avere arte e storia, cultura e mercato, politica e denaro, ma Roma ha anche la religione. Sorrentino usa questa sottigliezza in più per rimarcare allo spettatore che nulla è sacro, tutto è banale e non esistono risposte a parte quelle che si conosce già. Le domande nel film o sono banali, o non hanno risposte (il diario), o hanno risposte sciocche (le radici fanno bene), o non si vogliono sentire (le cure), o proprio non vengono proposte (le domande spirituali). A tali quesiti senza risposta fa di contrapposto una vita di feste. Jep si ritrova crudelmente protagonista in una vita fatta di scontata apparenza: sa che la vita in realtà non è questa, che ha più senso un bicchiere di vita la sera e poi un film alla televisione, ma non può farci niente perché è l'esistenza che ha scelto. Jep vive un'esistenza ove il "bla bla bla" è l'essenza di una decadenza che, in verità, non è mai esistita perché c'è sempre e solo stato "bla bla bla" dal suo arrivo a Roma.

Molte delle obiezioni che ho sentito a questo film affermano che esso è un'opera non per italiani. Se "Il Divo" era terribilmente italiano, "La grande bellezza" è un lungometraggio più preposto ad una realtà più internazionale, più Americana, più sociale. L'Oscar di Sorrentino è, per molti, un film lontano dall'essenza della penisola, dai sentimenti della gente. Io non mi trovo d'accordo con quest'analisi.
Per quanto confermo quanto già detto che questo film poteva essere ambientato in un'altra città occidentale, non mi sento di dire che questo film poteva essere concepito altrove. L'idea di chiacchiericcio bisbetico che c'è nel Bel Paese è un qualcosa che va oltre alla semplice monotonia informatica di San Francisco, capitalista di New York o romantica di Parigi. In Italia si è arrivati a banalizzare tutto: dalla cultura al calcio, dalla religione alla televisione, dalla musica all'arte, dall'economia ad, ovviamente, la politica ed è su questo humus sociale che il film di Sorrentino ha trovato radici ed è cresciuto fino a trovare l'Oscar.

Sarebbe bello, forse splendido, se la grande bellezza si accontentasse di banalizzare cose che gli italiani sanno già banali (spettacolo, politica, religione e mercato): ma il film va oltre. Sono i sentimenti delle persone che vengono appiattiti e resi insulsi: ci sono sprazzi di grande bellezza (l'amore per Ramona), ma subito dopo si ritorna brutalmente appiattiti ad una routine di feste e party. Lunghi trenini che non portano a nulla circondati da litigi sentimentali interessanti solo ad un sadico pubblico affamato di novità. A tutto ciò c'è sempre una via di fuga ma, come appare anche nel film, è equivalente a lasciarsi tutto indietro, salutare l'unico amico che conta e tornare al paesello.




"La grande bellezza" di Sorrentino è un gran film, possente e incredibile. Un lungometraggio ammaliante in cui tutti cambia rimanendo dannatamente uguale. Splendido ma non per tutti.


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