venerdì 6 luglio 2012

Jägermeister

Ero seduto sul lurido tavolino vicino alle stecche da biliardo da circa mezz'ora, il bicchiere di vodka posizionato di fronte a me era testimone con me del ghiaccio ormai sciolto da tempo nell'alcolico. La musica, un leggero jazz big band di qualche decennio fa, veniva a sprazzi da una scalcinata radio posizionata sopra il bancone, un miracolo che qualche avventore ubriaco non l'avesse già rotta da tempo. Gli odori che impregnavano il "Pub del Piano" erano un misto di alcolico e fumo, nessuno in quel momento fumava ma l'odore di tabacco era talmente impregnato in ogni tessuto che era impossibile uscirne da lì senza aver portato alla bocca due o tre sigarette virtuali. Pochi avventori, troppo pochi. Dalla mia postazione avevo un'ampia veduta dal locale: una coppietta chiaramente annoiata che non sarebbe durata più di qualche altra settimana, una donna con abito marrone che armeggiava con qualche rocchetto colorato e un gruppo di quattro amici che, a giudicare dalle risate, avevano appena iniziato un nuovo giro di birra.
Portai ancora una volta il bicchiere alle labbra per bere qualche sorso. Un gesto che avevo ripetuto ormai decine di volte quella sera. E non solo con quel bicchiere. Ma bisognava sfogare quel senso di frustrazione che ormai m'impregnava da più giorni. Forse ci sarebbero state varie alternative all'alcool ma in quel momento un liquore o un cocktail erano la chiave più rapida per scappare da questa dannatissima realtà. Ripensando ai miei problemi fu inevitabile che il mio sguardo scorresse verso la borsa color della pece appoggiata al mio ombrello. All'interno di quella borsa c'era ciò che aveva dato inizio a questa frustrazione, a questa dannatissima fuga contro il mondo, a tutta questa stramaledetta storia in verità. Forse se avessi preso un'altra scelta... se fossi stato meno ambizioso allora forse non sarebbe andata in quella maniera e in questo momento sarei stato come uno dei tanti uomini annoiati nel proprio ufficio a cercare di capire come arrivare a fine mese.

Fui bloccato a mezza via nei miei pensieri quando entrò lei in questo buco di locale. Erano le 23.10, la porta si spalancò decisa, il suo passo altrettanto convinto, le braccia serrate severamente ad ics davanti al petto. Le sue labbra erano chiuse in una morsa severa ma nascondevano con cura un sorriso ammaliante e furbo: una persona occasionale non avrebbe colto quello splendore nascosto, ma era da tempo che avevo lasciato il mondo degli individui comuni. I cappelli ricci color castano rivelavano fra, i pochi giochi di luce del locale, uno strano movimento dorato e sensuale, l'effetto bagnato dovuto alla pioggia che scrosciava all'esterno del locale non faceva che aumentarne la lucidità e l'ondulato svolgersi della pettinatura. 
La percepii con lo spirito attento che avvinghia ogni individuo in fuga, prima che potesse girare il suo sguardo verso di me e prima che iniziasse a muoversi con convinzione in direzione del mio tavolo, sapevo che era finita. Che la mia fuga era ormai segnata a concludersi in quel locale, fui portato per istinto di sopravvivenza ad alzarmi e fuggire, a scappare più distante che potevo, a continuare il mio limbo di clandestinità per il mondo. Avevo portato le mani sul tavolo per fare pressione ed alzarmi quando, alzato lo sguardo, lei era di fronte a me. Semplicemente bellissima. Ma non fu il suo fascino a bloccarmi, né il suo sorriso questa volta non celato dalla maschera offerta al padrone del locale. No... furono i suoi occhi. Di un azzurro color smeraldo talmente intensi che nessun mortale avrebbe potuto sottrarcisi senza impazzire. Fui risvegliato da quel contatto di quelle iridi soltanto dal tocco di tre fresche dita che lambirono la mia mano sinistra invitandomi a sedermi. Imbarazzato portai il mio sguardo in direzione del bicchiere di vodka e mi risedetti prendendolo in mano. Un tentativo goffo che quasi mi costò il rimanente alcolico se lei non l'avesse bloccato con un gesto veloce e elegante del polso. Notando l'imbarazzo il suo sorriso perse parte della sua malia per lasciare spazio ad una leggera ilarità, ma fu solo questione di qualche secondo. Poi era di nuovo seduta di fronte a me col suo sorriso più bello.

"Ti stavamo cercando." furono le sue prime parole. Niente chiacchiere, solo la dura realtà servita da un tono do voce caldo e con un leggero accento russo. Il mio sesto senso aveva avuto per una volta ragione: era veramente qua per me.
Non volli rispondere all'implicita domanda, presi il bicchiere e lo buttai giù rapido in un solo sorso. Mai mi era sembrato più fresco un alcolico. Mai più degni secondi furono portati avanti da una vodka. Mai fui più meravigliato quando il barista posò sul tavolo altri due bicchieri colmi a metà. Uno di fronte a me, uno di fronte a lei. In essi c'era un liquore arancione molto scuro. Forse Jägermeister. Alzai lo sguardo verso di lei, probabilmente con uno sguardo perplesso perché sul suo sorriso era ancora apparsa un po' d'ilarità. Mi stavo sbagliando, era più bella quando sorrideva divertita che ammaliante. Ancora una volta le labbra tornarono nella posizione da incantatrice.
Prese il proprio bicchiere con la mano sinistra, le unghie laccate di un rosso rubino ticchettarono per qualche secondo sul vetro, poi portò la bevanda a livello del volto: "Un brindisi?"
Raccolsi il mio alcolico e lo portai al livello di quello della mia interlocutrice, a pochi centimetri di distanza: "A cosa lo dobbiamo?" domandai con un tono che speravo di sfida.
Si portò la mano destra al livello del mento, facendo finta di pensare per qualche secondo con una falsa faccia seria, quindi con sguardo astuto mosse rapida il polso facendo tintinnare i bicchieri fra loro: "Al nostro incontro." rispose quasi con un sussurro.
Rimasi qualche secondo allibito, per un momento mi era sembrato che quelle iridi color smeraldo mi avessero passato da parte a parte, scorgendo e lacerandomi l'anima. Fu un istante di passione e paura. Ma fu un istante, che in qualche modo riuscì a scostare prima che lo sbandamento fosse notato. Sorrisi di ricambio, cercai di farlo con calore, ma per qualche motivo sentivo che la mia passione non riusciva ad uscire tramite il volto, né dagli occhi, né dalle labbra. Bloccate da un sentimento di timidezza e vergogna preposta da una bellezza senza tempo, da una paura per l'inevitabile che sarebbe potuto succedere, dal destino che sarebbe seguito senza scampo.
Bevvi l'alcolico con calma, sorsi leggeri e sentiti, era proprio Jägermeister. Non sapevo ancora che sarebbe stato il mio ultimo Jägermeister. Ci sarebbero stati altri alcolici, ma non Jägermeister.
Lei fece lo stesso cercando di catturarmi con sguardi e sorrisi senza rendersi conto che la situazione mi sembrava sfuggire di mano sempre di più. O forse proprio rendendosene conto.
Finimmo per le 23.23 di finire i nostri alcolici, finimmo praticamente contemporaneamente e senza dirci una parola uscimmo dal locale. Sotto la pioggia ad aspettare un taxi. Lei mi guardò per un solo brevissimo e lunghissimo istante in cui provai il fortissimo impulso di baciarla. Poi arrivò un taxi, o almeno quello che credevo fosse un taxi. Salimmo lasciandoci dietro il bar e quella musica jazz. Salii lasciando indietro tutta la mia vita di fuga e dolore.

Probabilmente se non avessi lasciato indietro anche la borsa il mio destino sarebbe stato completamente diverso.


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