martedì 15 maggio 2012

Mal di testa

E ci si ritrova così ad un pigro mercoledì di maggio a discutere di quello che era, quello che siamo e quello che sarà. Immaginatemi in questo momento con un bicchiere di cognac in mano, in uno di quei bar dimenticati ove la luce è soffusa e la musica di sottofondo è quella del jazz. Quella in cui potrebbe entrare il classico detective deluso dalle sue aspettative e che vuole sfogarsi senza però far pervenire il proprio dolore.
Immaginatemi lì, però con un certo sorriso, con la schiena rivolta al bancone, i gomiti posizionati sul tavolo leggermente umido di birra, il bicchiere di cognac vicino alle labbra e io che guardo verso il fondo del locale.
Seguite ora, per un momento, il mio sguardo e guardiamo insieme che cosa succede. perché in fondo ha quasi un tocco di magico notare come le vite altrui ci sfiorano, ci lambiscono, quasi si toccano ma poi scorrono accanto a noi senza che ci curiamo.
Non è alla coppia felice che sta flirtando in un angolo a cui puntiamo, altrimenti sarebbe banale, forse addirittura patetica e smielosa. Non puntiamo nemmeno a quella ragazza posizionata da sola con un drink alla fragola. Nel suo vestitino scollato è quasi volgare e la lacrima che le riga la guancia sinistra ci fa presupporre una storia fin troppo scontata, trita e ritrita, fatta di amori e tradimenti, forse una lite e poc'altro. Storie di cui la cronaca è piena.
No! Puntiamo, invece, a quella signora dal coordinamento dell'abito e del corpo monocolore: occhi, capelli, soprabito, vestito, camicia, pantaloni, scarpe, spero non le mutande. Tutte di una qualche tonalità castana, marrone, mora o marroncino. E' seduta in un angolo, guarda senza quasi respirare il proprio thè, presumibilmente alla pesca, mentre con la mano sinistra si tiene il mento e col mignolo sinistro tiene il tempo del jazzista. Attorno alla tazza, in piedi come piccoli soldati, stanno una decina scarsa di roccheti colorati: dal bianco al nero, dal rosso al verde, dal giallo all'azzurro. Tanti piccoli fili di lana posizionati lì senza alcun perché. Talvolta la donna marrone ne raccoglie uno e sembra farci un nodo, un piccolo nodo, molto molto stretto. Poi lo rimette nella sua posizione originale e ritorna col pugnetto sotto al mento ad ascoltare la musica.
Ecco! L'avete vista? Certo! Anche se nella vostra immaginazione, dovete averla vista! Guardate attentamente! Ora sta per prendere il rocchetto viola! Tak! Velocissima! Ha preso in mano il filo, lo ha attorcigliato e ci ha fatto il nodo.
Ma perché lo fa? Mi spiegate il motivo per cui una donna, in mezzo ad un bar di questo tipo dovrebbe mettersi a fare nodi su diversi rocchetti colorati? Mi rifiuto di ascoltare la vostra banale risposta che riporta a pazzia, antistress o voglia di dare fastidio agli altri avventori del bar con uno stupido giochetto psicologico. No, no! E' troppo facile! Ci deve essere qualcos'altro... qualcos'altro...
Ed eccola, improvvisa! Si alza di scatto, butta di getto tutti i rocchetti in una brutta borsa color castagna e ad ampie falcate si dirige verso la mia direzione. Butto il naso nel cognac per non farmi notare. Bevo a piccoli sorsi mentre la sento passare dietro di me. Riesco a scorgerla con un leggero sforzo: in piedi si nota che non è una donna bellissima, il naso troppo grosso, la vita fin troppo magra, il seno troppo scarso, la pelle troppo bianca in netto contrasto col suo marrone. Sento i tintinnare della porta d'ingresso ed è fuori!
Siete contenti ora? Sono qua con un cognac e una storia da raccontare su di una donna che gioca coi fili di lana a parlare col nulla. Probabilmente il matto sono io... che cosa? Sotto il tavolo? Un rocchetto color verde? Ehy! Buona vista, non l'avevo notato. Allora ci tenete a me!
Mi dirigo verso il tavolo ove era seduta la donna in marrone, la coppietta impegnata a filtrare mi ignora completamente, stranamente la ragazza volgare mi sorride sotto ad una nuova serie di lacrime. Ricambio il sorriso con un altro sorriso, ma continuo a dirigermi verso il rocchetto verde. Scusatemi, ma gentilezza e curiosità sono parole che fanno rima con la mia persona. Raccolgo finalmente il rocchetto verde, me lo metto in tasca e guardo verso la ragazza, che in effetti non è così volgare ma alquanto carina. Niente! Si è già immersa col suo cellulare a scrivere un poema verso la sua amica del cuore, potrebbe averne per trenta secondi quanto per due ore e mezza. Inutile aspettare.
Torno nella mia postazione presso il bancone ed esamino finalmente il rocchetto. E' a ciambella, all'interno del buco c'è un messaggio con su scritto: "Speranza". Conto i nodi che ci sono su tutto lo spago, perdo il conto una ventina di volta ma alla fine arrivo a quota quarantasei.
Qualche idea? Qualche suggerimento? Nessuno?
E vabbè! Ci faccio un nodo! Magari ci verrà in mente in futuro.

Lascio il locale col rocchetto in tasca.
Verde.
Quarantasei. 
"Speranza". 
Mai avuto un mal di testa come oggi.


2 commenti:

  1. Molto molto carino e divertente il tuo racconto, anche se cambierei il titolo, magari in "Il rocchetto", perchè quello che c'è fa un pò da spoiler.Lo odi proprio il marrone eh? :D

    Rita

    RispondiElimina
  2. Grazie per il commento Rita. Non so se cambierò il titolo ora come ora (un po' perché lo considero ormai un raccontino finito e non vorrei metterci mano) però sicuramente mi ricorderò di questo consiglio per il prossimo racconto breve. Niente in verità contro il marrone, ma sentivo il bisogno di dare un tocco di eccentricità a quella donna dai rocchetti con un colore che non ha nulla di solitamente eccentrico. :)

    RispondiElimina